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Questo è il racconto secondo classificato – selezionato dalla redazione del blog letterario Il Cappuccino delle Cinque– del primo giro di “Un aperitivo da scrittore“. Il racconto vincitore è pubblicato qui ed è firmato da jairaconti@gmail.com


di Luca Misuriello

 

L’aperitivo era appena iniziato, e già l’aria era carica di promesse: incontri inaspettati, conversazioni stimolanti e, chissà, magari l’inizio di una storia.

Era quello che pensava la maggior parte dei clienti di quel bar sgangherato e così fuori moda per una Roma del 2078.
Tutti ormai si affidavano all’AI di incontri, bastava porre l’impronta sullo schermo e i dati 0personali, dal colore degli occhi al gruppo sanguigno, venivano trasferiti all’app per una ricerca quasi istantanea dell’anima gemella. Ma non quel giorno e non in quel bar.
L’atmosfera era volutamente congelata al 1998 quando il nonno del nonno del nonno dell’attuale proprietario aveva aperto quel locale.

All’ingresso una signorina gentile chiedeva di depositare tutti i dispositivi elettronici e di disabilitare eventuali chip sottocutanei.
Entrando si veniva subito investiti da un odore di storia vissuta da qualcun altro, sulle mensole oggetti in plastica antica facevano bella mostra di sé mentre sulle pareti un poster di “The Truman show” giganteggiava solitario e ormai sbiadito.

Non sapeva bene cosa aspettarsi, era passato tante volte davanti quella porta arancio e blu ma mai aveva avuto il coraggio di entrare. Quella sera però, dopo una lunghissima giornata passata allo schermo assistenza clienti della società per cui lavorava, aveva deciso di
rischiare e vedere cosa poteva esserci di così diverso nel modo di vivere dei suoi nonni. Era alto, capelli lunghi neri e selvaggi, un paio di occhiali da vista e la barba di due giorni.

Con passo sicuro si diresse al tavolo in fondo, quasi nascosto, isolato da tutto e tutti, da cui poter solo osservare gli altri senza partecipare. Appena seduto quasi di istinto cercò la postazione di ricarica wireless sul tavolo per poi ricordarsi che non poteva esserci e che il suo dispositivo lo aveva lasciato all’ingresso.

Così, senza avere nulla da digitare o scorrere con gli occhi, senza uno schermo davanti o una penna ottica da far svolazzare in aria, si sentiva nudo e incapace di fare nient’altro se non starsene fermo a fissare il vuoto.
Quella sensazione durò solo un lampo perché distratto dalla cameriera in piedi di fronte a lui.
– Buon pomeriggio, che aperitivo prende?
– Salve, portami un daiquiri red shot con ghiaccio liofilizzato
– Ehmmm, qui serviamo solo cocktail del XX Secolo…
– Ah…giusto… scusa, prima volta per me… allora, non so, qualcosa di forte, fai tu.
– Certo signore, provvedo subito, le porto un Cosmopolitan se può andar bene.
– Ok, non so cosa sia, ma va bene grazie.

Nell’attimo esatto in cui la ragazza uscì dal suo campo visivo apparve una figura di donna, seduta a qualche tavolo più in là intenta a sorseggiare un caffè. Sembrava persa in quella macchia scura dentro la tazzina, lui la osservava da lontano ma poteva comunque percepire il suo senso di vuoto e la totale assenza di se stessa tanto da volersi alzare e camminare verso di lei per dirle qualcosa di carino e simpatico come ad esempio:
– Ciao, bello forte il caffè in questo posto, non trovi?
e lei, presa alla sprovvista, avrebbe magari risposto:
– Scusa, come?
– Scusami tu, vedevo che eri un po’ triste e il caffè qui può fare miracoli… almeno è quello che ho sentito dire… è la prima volta che vengo in questo bar.
– Ah ok, e quindi sarebbe questo il tuo approccio? molto originale.
Aveva sorriso, un sorriso così bello da poter scaldare anche quella tremenda giornata iniziata nel peggiore dei modi. Anche lui aveva sorriso.
– Sì, hai ragione, ma è la prima cosa che mi è venuta in mente nel breve tragitto dal mio tavolo al tuo.
– Comunque io sono Sara.
– Piacere, Marco.
Continuarono così per altre due ore, senza fermarsi un attimo, senza riflettere su dove erano o quando erano, tutto sembrava fluire naturalmente dalle loro bocche, dai loro occhi e dai loro gesti. Parlarono di vacanze, di amori perduti o mai trovati, d’infanzia e di adolescenza, di odio e compassione e che forse si erano trovati lì per caso oppure no.

Una sensazione fantastica pervase Marco nonostante fosse ancora seduto al suo tavolo mentre guardava quella ragazza dal nome sconosciuto dirigersi verso la porta e uscire in strada.
Era stato comunque bello, una fantasia, solo quella, nessuno al giorno d’oggi avrebbe avuto la lucidità di una conversazione simile, troppe parole pronunciate tutte insieme, senza digitare nulla, senza condividere nessuna emoticon o clip di un dolce gattino, nessuno avrebbe avuto il coraggio… o forse no.

Si alzò e corse fuori.